martedì 6 novembre 2012

"Rosso di sera"

Fonte: www.iloveroma.it



M’hanno svegliato in piena notte tre scoppi nella strada e ho capito subito che succedeva. Dalla finestra della stanza da letto riverberava una luce rossa. Adesso sono sul balcone per vedere a chi sia toccato stavolta, ma non mi sporgo, per precauzioni diverse. Una ragazza, due scale accanto e un piano più su, sta gridando affacciata: “Disgraziati! Nòva nòva… Appena comprata…”. Piange mentre guarda sconsolata la sua macchina che brucia. È scoppiato anche il quarto pneumatico. Adesso toccherà all’abitacolo. Fino a cinque minuti fa la via era deserta, ora è sotto gli occhi di tutto il vicinato che assiste impotente al rogo. Nel palazzo di fronte un tizio si sbraccia e urla di spostare le macchine parcheggiate ai lati. Per esperienza sappiamo tutti che le fiamme presto arriveranno al serbatoio. Intanto la colonna di fuoco raggiunge il terzo piano e sfiora le tapparelle delle finestre. Quella del fumo, con la sua puzza di zampirone, prosegue oltre la cima del palazzo, altri quattro piani sopra. Sicuramente la vedranno anche dall’altra parte del quartiere, d’altronde è l’effetto voluto. Decido che posso rimettermi a letto: la mia, di macchina, è già andata tempo fa eppoi in lontananza si sente l’eco della sirena dei pompieri che ormai conoscono bene la strada.

Laurentino 38 è un plastico essenziale in scala reale con poche figure umane in 3D a rappresentare la vita lungo gli stradoni, sotto i palazzi, nei campi da calcio, nelle piste da pattinaggio e nei parchi giochi ormai ridotti al minimo, tristi monumenti alle buone intenzioni. Un vuoto di tempo sospeso tra i campi dell’Eur a ridosso del Raccordo Anulare. Una leccata di vernice marrone-tristezza-perenne alternata al crema-sapore-acido per le torri e una di vernice grigio-nessuno per gli spazi comuni non riempiono i pori delle pareti erette con lastroni di cemento armato incastrati quasi per appoggio come si fa con i castelli di carte. Non si è nemmeno perso tempo a tamponare i vari interstizi: chi vive qui deve ricordare da dove viene e dove potrà andare/restare.

Perché questo posto sia il casino che è non mi ci è voluto molto a capirlo. Io qui ci sono arrivato quando i palazzi erano abitati da poco. I miei avevano fatto domanda per una casa e diciamo che ci è stato dato un tetto, un appartamento tra i condomìni del famigerato “nono ponte” - all’epoca persino sede del commissariato di polizia locale - proprio tra tutti il ponte preferito di notte da prostitute e drogati. Siccome i poliziotti furono rispediti al centro dell’Eur tra l’ambivalente soddisfazione generale, zingari e cavalli tornarono negli appartamenti, gli ex baraccati continuarono a coltivare orti sulle terrazze, non si contarono più le scorribande notturne e gli scontri tra balordi per stabilire le nuove gerarchie con tanto di sparatorie lungo i viali.

I viali: Gadda, Silone, Marinetti, di certo si sono rivoltati nelle tombe ogni notte tanto era sconcertante lo squallore al quale erano stati assegnati. Io, poi, abito in Via Baudelaire:

- “Come si scrive, mi scusi?”
- “Ba-u-de-la-i-re (quello de I fiori del male…)
- “Ah… si. Ecco qui. Spedisca il modulo. Ci vorranno almeno un paio di settimane…”
- “Grazie”.

<<A detta dello stesso Baudelaire l’opera va intesa come un viaggio immaginario che il poeta compie verso l’inferno che  è la vita>>.


 “Allora ecco il nesso con la strada di casa mia…” ho realizzato oggi dopo aver letto un paragrafetto su una rivista di quartiere mentre attendevo seduto su una panca il mio turno all’ufficio informazioni del municipio. Ecco, così mi spiego come mai proprio nella mia scala abiti un’intera famiglia di malviventi distribuita in diversi appartamenti. In uno, l’appartamento davanti al nostro, ci vive la pazza.

La pazza è mal sopportata da tutta la sua famiglia perché “pianta grane”. Percepisce la pensione d’invalidità e ogni tanto deve dare dimostrazione di meritarla così una sera sferra un paio di colpi con un cacciavite alla nostra porta d’ingresso, versa alcool nel buco che si è formato e tenta di accendere il fuoco. I miei se ne accorgono e mi chiamano al telefono urlando terrorizzati di andare di corsa a casa. Arrivo salendo le scale a tre a tre con un infarto in atto e dopo un po’ sul pianerottolo mi trovo ad affrontare anche la furia di quell’invasato del fratello, sceso dal piano di sopra a vedere come mai sto litigando con la sorella. Lo conosco bene. È uno degli ultimi balordi della famiglia rimasti dopo l’autodecimazione dei congiunti a base di pistole e droga. Preferisco fare pippa e scusarmi con lui per essermi alterato. Si tranquillizza e se ne va e penso che sia finita lì. Dopo qualche settimana mi brucia lo stesso la macchina. Questione di immagine.

È passato un po’ di tempo da quella volta. La pazza è ancora tra noi. Ieri pomeriggio l’ho notata alla fermata dell’autobus sotto il sole cocente di agosto, solo lei in un silenzio surreale, la "pensatrice" del quartiere seduta immobile a lato del viale deserto sotto gli occhi di decine di finestre boccheggianti delle alte palazzine di cemento crudo (qui per isolamento non si intende coibentazione) che torreggiano tutt'intorno. Ancora più ingrassata per via dei calmanti e nera come al solito, anche se da un po’ di tempo più gentile. Anche gli altri in effetti si potrebbero ormai ritenere cordiali vicini; contribuiamo persino con loro alle spese di gestione del condominio. È che soprattutto non vogliamo scontentare il caposcala, il famoso fratello, che si è incaricato senza votazione e due mesi fa ha annunciato con breve comunicato scritto apposto a lato dell’ascensore che si occuperà lui dei vari lavori necessari:

“LA COPIA DELE CHIAVI DEL CANCIELLO
CELL’A’ IL CAPOSCALA INTERNO 7”.

D’altro canto l’ente si rifiuta di fare manutenzione da quando lui per l’ennesima volta ha incendiato il garage. Ad ogni modo il cambiamento si vede già. L’androne, con le mattonelle da bagno color sorcio scelte a gusto suo e applicate fino a dove ha avuto il tempo di arrivare, ha tutto un altro aspetto ora anche se - ciangottava ieri un'inquilina mentre trasparente mi defilavo in fretta dal portone - "pure noi volevamo la greca come l'altra scala invece delle bacchette d'alluminio". Questione di economia.

Laurentino 38 oggi è un quartiere che cambia. Così pare sostenesse ieri il parterre de rois all’inaugurazione del nuovo centro culturale. Me l’ha raccontato il dipendente del municipio. Un avvenimento importante e sono state invitate le autorità. Per l’occasione è stato finalmente demolito il nostro ponte, perché sarebbe stato visibile dal centro culturale e anche perché era il più rovinato di tutti. Le terrazze davanti ai negozi erano continuamente allagate dagli occupanti e l’acqua ricadeva a pioggia sulle macchine e i passanti che attraversavano la strada di sotto. Gli sfollati non sapevano dove stare, lo capisco, ma era troppo un casino e così c'ha rimesso pure Armando e, questo si, mi è dispiaciuto di più. È stato sfrattato dalla rotonda dove passava tutto il giorno seduto all’ombra dei pini e della baracchetta costruita con l’ondulina e con qualche porta vecchia abbandonata lì vicino. La ruspa comunale è passata sdegnata sulle sue dotazioni di confort e ha ripristinato soddisfatta il necessario decoro, come se lo squallore dei "ponti" fosse tutto lì. Armando adesso non viene più. Quelli che coltivano gli orti ai lati della marrana l’hanno visto che vagava con lo sguardo un po’ perso nei dintorni. In attesa e nella speranza che ritorni, là dove sedeva sempre gli hanno messo una poltroncina di quelle da giardino, di plastica bianca, ma ingrigita dalla pioggia.

Si, forse questo quartiere cambierà e un giorno non sarà più un dormitorio per umanità rassegnata. Rigiro tra le dita la ricevuta del fax, ho appena spedito il modulo. Nell’indifferenza generale ho comunicato il cambio di residenza e me ne vado.




Racconto Premio 2° Concorso Letterario
del Comune di Campagnano di Roma,  giugno 2013
2° classificato

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